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La storia di un pellegrinaggio rituale
Potrà sembrare strano vedere descritta una peregrinazione rituale in una sezione espositiva dedicata agli ex voto.
La ragione è che anche i pellegrinaggi nascono da un’obbligazione: un’eccezione per sé chiesta al cielo in un passaggio difficile della vita, una grazia riconosciuta anche da chi non aveva avuto il tempo di chiederla.
Un altro motivo è che i pellegrinaggi hanno per meta i santuari, come quello in cui ci troviamo noi adesso. E gli stessi santuari spesso nascono da “ex voto”. Compreso questo di Sedilo, che la tradizione vuole fondato da un sardo riconoscente a Costantino: rapito dai Mori, fu liberato e riportato nell’isola per intervento diretto del Santo.
Quindi, in un certo senso, santuari e pellegrinaggi sono anch’essi forme particolari di ex voto.
Il pellegrinaggio rituale è infatti una sorta di contenitore di preghiera e una preghiera di ringraziamento esso stesso. Una supplica corale e in movimento, laddove l’ex voto dipinto può considerarsi una preghiera personale illustrata.
Costituisce inoltre un rito di appartenenza. Alla Chiesa, al Santo e alla figura del suo fondatore, attorno alla quale progressivamente si rinsalda, si allarga e si conferma. Così, per contiguità familiare, paesana o devozionale, ogni anno ci si ritrova per la partenza.
Noi abbiamo la fortuna di possedere la testimonianza diretta del figlio dell’iniziatore del pellegrinaggio che, tutti gli anni, da Bono muove verso Sedilo. A mezzogiorno del 4 luglio di ogni estate una comitiva di fedeli si ricompone davanti al cimitero e parte. I due paesi, in linea d’aria, distano una cinquantina di chilometri, e a piedi occorrono quasi venti di ore: il corteo si sgrana lungo i saliscendi delle colline, in mezzo alla campagna, proseguendo il cammino anche di notte. L’arrivo a Sedilo è previsto per le 10 del giorno dopo.
Ma veniamo ai fatti d’origine. Nel 1918 a Bono avviene un omicidio. La “giustizia”, non molto sottile, arresta diciassette indiziati. Tra queste c’è Pietro Manca, noto Pedrigheddu ’e Pattada, reduce di guerra, classe 1881.
Innocente, Pedrigheddu langue in cella e una notte fa uno strano sogno: Costantino lo aspetta qui al Santuario. La mattina dopo, finita l’ora d’aria, un secondino gli annuncia che il vero colpevole è stato individuato. E lui è libero.
Da allora il pellegrinaggio, ogni anno, fino a quando le gambe glielo consentono. Pedrigheddu muore a novant’anni, e oggi è il figlio Sebastiano a testimoniare la promessa. Mostrando con ciò come certi ex voto siano ereditari, come una speciale dote spirituale di famiglia, che non può essere dispersa.
Possiamo inoltre osservare come la visione e il sogno siano le pietre di fondazione più frequenti di certe tradizioni spirituali. Ne riportano l’origine a una manifestazione prodigiosa, a una rivelazione superiore e insindacabile. Un “tu per tu” col cielo, che si sottrae alla prova umana dei fatti per esigere invece un’incondizionata certezza di fede. Si pensi in proposito allo stesso “sogno di Costantino”, e a quello che ha poi simboleggiato per la storia dell’intero occidente.
Ma il viaggio non è solo penitenza e fatica. Mentre si onora il debito con la preghiera e il cammino c’è spazio anche per la gioia e il gioco. Durante le soste si cantano i Gosos, si balla, si gode del cibo e ci si incontra con le comitive di penitenti provenienti da altri paesi: Pattada, Anela, Bultei, Bolotana e altri.
Ci si porta appresso i cavalli, sui quali si caricano le provviste per la permanenza al Santuario durante tutta la festa. Qualcuno all’arrivo striglia la sua bestia e il giorno dopo ci corre l’Ardia. Comunque non si va via prima del 7, a festa finita.
Pedrigheddu e Pattada
E si racconta di un San Costantino tanto attento ai pellegrini da vegliare puntualmente su ogni loro movimento. Arrivando a intervenire su un gruppo di Ortueri andato via prima della fine della festa: sulla via del rientro i loro cavalli, durante una sosta, improvvisamente si liberano e tornano al galoppo verso il Santuario. O punendo una pellegrina che, tenuta al silenzio per via di un lutto, invece di esprimersi a gesti apre bocca: le si sloga una caviglia. Per sanarla si trascinerà in ginocchio lungo la chiesa, dall’ingresso all’altare. O ancora storie di gioghi di buoi dispettosi, di carabinieri zelanti, di portafogli trovati per strada, di sogni premonitori, di desideri di andare. Perfino di un’Ardia corsa da Sebastiano, nella quale il nostro testimone viene ammonito per aver sorpassato, in sella a una cavalla irresistibile, la Prima Pandela: attraversato l’arco infilerà col piede un grappolo di secchi per il latte e dovrà trascinarseli per mezza corsa.
Ma al di là dei racconti si staglia la suggestione di un Santo raggiante di grazia e premuroso verso questi suoi intimi, che lo ripagano con la fiducia di un dialogo stretto ed esclusivo, attraverso il quale interpretare i fatti della vita. Un Santo umanissimo, abituato a frequentare con loro il confine incerto tra il quotidiano e il soprannaturale.
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