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5. Contro l’eresia

Il consolidamento dottrinale del Cristianesimo

Costantino completa il suo percorso personale di fede col battesimo, ricevuto in punto di morte, nel 337, da Eusebio di Nicomedia, come ci racconta lo stesso vescovo.

Ma la sua importanza, dal punto di vista del Cristianesimo e più largamente della storia dell’intero occidente, più che sulle vicende personali della sua coscienza, è da misurarsi sulle sue opere.
Immagine rappresentativa
concilio di Nicea [Cesare Nebbia, 1575-1600]


Prima fra tutte il suo appoggio alla religione emergente, indissolubilmente intrecciato con la sua opera di riunificazione imperiale.

Costantino si rende conto che la religione di Cristo è un collante capace di tenere uniti i popoli attorno a un nucleo forte di credenze e di abitudini pratiche e morali. Perciò interviene a regolamentarla giuridicamente, facendo del clero un valido alleato del potere politico. Mentre ad esempio concede ai sacerdoti la completa esenzione dal pagamento delle tasse, “sacralizza” le più importanti funzioni istituzionali, attribuendo ai ruoli che le ricoprono l’appellativo di “sacer” (in latino = sacro): è sacro il palazzo imperiale (sacrum palatium), sacro il concistoro dei principi (sacrum consistorum), sacro il “ministero delle finanze” che si chiama ora comes sacrarum largitionum.
Dal canto loro le chiese acquisiscono il “diritto d’asilo”, diventano cioè inviolabili: chi vi si rifugi non potrà essere perseguito dal potere giudiziario, anche se colpevole.
Immagine rappresentativa
Monogramma di Cristo
Sono solo alcuni esempi del nuovo corso della politica, indirizzato verso un crescente avvicinamento dei poteri e la conseguente “teocratizzazione” dello stato. L’unità del Cristianesimo è ormai indispensabile all’unità dell’Impero. Per questa ragione Costantino parallelamente interviene nel merito delle dispute teologiche, in un momento storico fondamentale sia per l’assestamento dottrinale dei principi religiosi che per il consolidamento istituzionale delle nuove strutture della Chiesa.

È infatti lui a convocare il Concilio di Nicea, nel 325, dove trovano risposta le posizioni trinitarie del prete alessandrino Ario, che minavano l’unità della Chiesa. Ario sosteneva che Cristo non fosse “figlio di Dio” in senso diretto, ma fosse stato invece “creato” da Dio sulla terra, al pari di tutti gli altri uomini. La differenza era sottile, ma la tesi conseguente pericolosa, perché con essa il sacrificio sulla croce perdeva il suo senso forte di riscatto salvifico dell’umanità. E la Chiesa, nata su quel simbolo, vedeva negato il suo fondamento soprannaturale e sminuita la sua funzione di mediazione salvatrice in terra.
In risposta, dal Concilio emerge la formula del “Credo” come noi ancora oggi lo conosciamo. In essa sono contenuti i capisaldi fondamentali della dottrina della Chiesa. Che tra l’altro, sulla natura di Cristo, come sappiamo, specificano: “generato, non creato, della stessa sostanza del Padre”.

Altra grave e complessa questione da affrontare fu quella dei donatisti. La disputa aveva preso le mosse dalla contestata elezione, alla cattedra di Cartagine, del vescovo Ceciliano. In quegli anni si era infatti andato formando il partito dei rigoristi, il cui rigore era quello di non riammettere in seno alla chiesa i lapsi (in latino= caduti), cioè quei credenti che, durante le persecuzioni di Diocleziano, erano venuti a compromesso col potere. Ceciliano era uno di questi, accusato di avere addirittura consegnato nelle mani dei persecutori alcuni oggetti sacri.
Ma al di là dell’aspetto occasionale della disputa, le divergenze profonde erano altre. Il donatismo dava espressione alle plebi oppresse delle province africane dell’Impero. Aveva inoltre delle opinioni fortemente discordanti sull’amministrazione dei sacramenti e sul ruolo del clero. Sosteneva poi una posizione di severo rigorismo nei confronti dello stato, col quale non credeva di dover venire, in nessun caso, a patti.

Costantino fu investito della questione dagli stessi dissidenti, e rimise le decisioni a un concilio romano, che nel 313 mandò però assolto Ceciliano. Ci furono ancora ricorsi, inchieste, accuse reciproche e ulteriori condanne. Durante le dispute i donatisti arrivarono ad allearsi con gli ariani, uniti contro le posizioni ufficiali della Chiesa.

Costantino tentò in tutti i modi di ricomporre i dissidi, che erano espressione di pericolose forze centrifughe in atto nelle province africane dell’Impero. Ma non vi riuscì, tant’è che si arrivò, dopo alterne vicende, allo scisma delle Chiese africane, dove il donatismo sopravvisse fino all’invasione musulmana, avvenuta nel VII secolo.

Tuttavia Costantino, più che uomo di dottrina fu dapprima un uomo d’armi che non conobbe sconfitte, poi uno straordinario uomo politico, capace di tracciare in profondità il solco sul quale correranno per secoli i destini dell’occidente cristiano.